Ultima vela
Francesco Belluomini
Samuele Editore 2018, collana Scilla
prefazione di Vincenzo Guarracino
pag. 228
Isbn. 978-88-94944-01-3
13 €
spese postali 2 €
“Un percorso da stato d’emergenza /da vero giramondo dei mestieri”, descrive così la sua “avventura” umana e intellettuale, Francesco Belluomini, giusto all’inizio del libro, Ultima vela, autobiografia “in forma poetica”, che raccoglie e condensa il suo lascito di esperienze in forma di parole, la sua storia (“tutto me stesso”), sotto un titolo metaforicamente comprensivo e allusivo di molte cose, della passione del mare non meno che del fatto che questa fatica si colloca in maniera riassuntiva al punto estremo dell’intera sua vita e costituisce in un certo modo il suo testamento morale nel consegnare ai posteri, senza falsa modestia, i montaliani “fatti” e “nonfatti” di un’esistenza quanto mai singolare, ricca di emozioni e “invenzioni”.
“Un percorso da stato d’emergenza”, attraverso “differenti mondi”, ma con una stella polare, un punto di riferimento inderogabile dal principio fino alla fine, che è la poesia: coltivata e praticata direttamente o stimolata e promossa, con indefessa pazienza e fedeltà, a costo di fatiche e innumerevoli battaglie, nell’infido mare dell’esistenza, la poesia, intesa non solo nel senso più proprio di scrittura ma anche come continua messa in gioco e “invenzione” di sé sulla scena della vita, ha costituito per l’autore il fecondo lievito di progetti, propositi e realizzazioni nell’arco di almeno mezzo secolo, attraverso stagioni e libri e soprattutto attraverso la sua “creatura” più significativa e duratura, quel Premio di Poesia, autentico “monumento”, per sua stessa definizione, che, intitolato alla sua città, ossia Camaiore, continua a costituire, a partire dagli inizi degli anni Ottanta e a tutt’oggi, la testimonianza più viva e concreta di un amore sconfinato, capace di esporlo alle “raffiche di poppa” e ai “perigliosi fortunali” di malevoli e invidiosi inchiodandolo, “disarmato” ma tetragono, come un novello Ulisse, all’”albero del velame” della sua passione.
[…]
Il risultato è il poema di una vita, di continui andirivieni tra porti e mestieri i più diversi, una vita costellata da viaggi, avventure, disavventure, amori e perfino da naufragi, oltre che da libri: quelli suoi, in versi e in prosa, usciti presso Editori differenti, grandi o piccoli che siano, e gratificati anche da riconoscimenti sempre più prestigiosi in Italia e all’estero; e quelli altrui, letti insaziabilmente dapprima solo nelle pause di un lavoro faticoso sulle navi, poi “nottetempo” e nei silenzi, da inventore e Presidente di un Premio Letterario, che è diventato nel tempo uno specchio della società non soltanto letteraria italiana.
dalla prefazione di
Vincenzo Guarracino
Ultima vela
tutto me stesso in forma poetica
Francesco Belluomini
Come se disarmato sulla testa
d’albero del velame di quest’ultima
regata, sulla boa di sopravvento
tentassi completare la bolina
con la vela rimasta nel pozzetto
per prendere le raffiche di poppa
e tagliare la linea del traguardo
nel valzer dell’insolite strambate.
Un percorso da stato d’emergenza
da vero giramondo dei mestieri,
non mancato scontare mio peccato
doppiando pure quattro continenti.
Non avere più nulla da mostrare
non significa farmi qualche giro
di respiro sul molo di Viareggio
o lungo le pinete disastrate
dal tempo e dall’incuria dei tutori,
che tanto son finiti quei valori.
Ma posso sempre rendermi presente
narrando con la forma prigionata
il tempo dell’esposta controversia,
allineando quest’ultimo poema
dopo quelli che stanno decantando
ancora sul fondale del cassetto.
So bene quale rischio sto correndo
nel presentarmi tanto discorsivo,
ma spero di pagare poca pena
con reggere la metrica stringente;
come del resto faccio da trent’anni
con esiti non tanto secondari.
Che nel restare dentro queste gabbie
sempre reso difficile l’impegno
di trovare vocaboli d’incastro
senza mai debordare dal concesso;
che nel vietarmi slarghi di confine
contengo lo sgorgare della fonte.
Oggi propongo tutto come stessi
tutt’uno con me stesso, dopo quasi
quarant’ anni di lunga prigionia
dal giorno che son stato soggiogato
dalla suadente voce pellegrina
risalita furtiva dall’inconscio;
sconvolgendo di colpo tal mio mondo
fatto di cose semplici e serene.
Un lungo travasar dalla memoria
dai tempi dell’acquoso scarrocciare,
prima di quella trappola beffarda
che m’ha manomesso l’esistenza.
E questo ne consegue che confessi
le premesse su come capitato
tra quelli che affastellano pensieri
e restano nel centro delle righe.
Da prima non compreso l’avvisaglie
perché lontano miglia da quel mare
solcato dai più grandi comandanti,
seppure l’attrazione per quell’onde
mi fecero seguire tali rotte
framezzo perigliosi fortunali;
non aspirando certo nel futuro
di reggerne le barre del timone.
Ho sempre mal compreso qual sentiero
percorrere per rompere l’assedio
delle parole, come già non fossi
sfruttato come l’ultimo dei guitti
sulla scena, dovendo recitare
dal giorno della nascita, la propria,
ove la vita perse suo valore
nel turbinio di folli quotidiani
con tutti quei governi di nazioni
in bellici conflitti d’oppressione;
sebbene non sia stato maltrattato
oltre quel grave furto dell’infanzia.
La voce che sconvolse tali giorni
proveniva dall’uscio dell’inferno,
se nemmeno capace rallentare
il travagliato flusso del cervello.
Bastava fare orecchio da mercante
o prendere la cosa sottogamba,
magari non scusarsi del disturbo
nel togliere le tende. Ma sfuggire
al demone che regge mio guinzaglio
da tutti quei decenni, più varrebbe
tentare d’arginare la marea,
forse con più probabile successo.
Creduto nel capriccio momentaneo
lo scrivere sui fogli le stesure,
invece son rimasto come schiavo
di quella tirannia d’altro terreno.
Nel tunnel senz’uscita d’emergenza
son rimasto nei pressi della luce,
che scaltrito da lustri d’esperienza
ne faccio del lirismo carta straccia;
fingendo con più aride scansioni
l’esaurirsi, tra gabbie costringenti,
degli scrosci di vivida sorgente
d’assente rimanere sulla secca.
Un richiamo privato di richiesta
che non presi nemmeno le misure,
come fosse spettato di provarci
di là dalla cautela. Ma non colpa
se rimasto da subito stregato,
dovendo tutta questa compulsione
a gente navigata nelle lettere
di quel Premio Viareggio. Forse quella
Giuria di grossi nomi dell’annata
Settantasette tenne quel riguardo
di farmi finalista Opera Prima,
come da principiante viareggino.
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