L’ultima vela è l’ultimo spazio che un uomo può ritagliarsi nel suo percorso terreno, di cui intende lasciar traccia, se non per altri, almeno per sé, onde verificare il suo trascorso prima di chiudere il libro dell’esistenza. Questa opera postuma è a tutti gli effetti un’autobiografia, in versi endecasillabi, che donano struttura, equilibrio e armonia a una poesia che ha un unico tema, quello appunto di parlare della propria vita.
Di raccontarsi, di essere sincero perfino con se medesimo lo si nota perfino dai primi versi, in cui l’autore non fa sconti per nessuno, e a maggior ragione per se stesso (Come se disarmato sulla testa / d’albero del velame di quest’ultima / regata, sulla boa di sopravvento / tentassi completare la bolina / con la vela rimasta nel pozzetto, / per prendere le raffiche di poppa / e tagliare la linea del traguardo / nel valzer dell’insolite strambate. / Un percorso da stato d’emergenza / da vero giramondo dei mestieri, / non mancato scontare mio peccato / doppiando pure quattro continenti./ Non avere più nulla da mostrare / non significa farmi qualche giro / di respiro sul molo di Viareggio / o lungo le pinete disastrate / dal tempo e dall’incuria dei tutori,/ che tanto son finiti quei valori. / Ma posso sempre rendermi presente / narrando con la forma prigionata / il tempo dell’esposta controversia, / allineando quest’ultimo poema / dopo quelli che stanno decantando / ancora sul fondale del cassetto./ …).
Sarebbe però troppo riduttivo vedere l’opera solo sotto l’aspetto autobiografico, come del resto testimoniato da questa serie di metafore che traggono origine dalla trascorsa e lunga attività sul mare, dico che sarebbe riduttivo o ancor peggio semplicistico ricondurre il tutto a una se pur pregevole trasposizione in versi della propria vita. Del resto queste prime strofe che, anziché disorientare o affaticare il lettore lo avvincono con il ritmo che ha il sapore dell’onda che lenta alla spiaggia arriva, hanno anche il pregio di far balenare il vero scopo di questo bel lavoro. Già, parlar di sé senza raffrontarsi con il mondo che ci circonda sarebbe troppo semplice, ci farebbe apparire soggetti passivi trascinati dagli eventi e dal senso comune senza porci quei problemi che solo menti elette possono e devono proporsi. E’ così che l’autore espone il proprio senso della vita, in evidente contrasto con la società di cui è parte e che, più che vivere, vegeta, distratta, priva di valori, dimentica del passato, incapace di rendere reattivo il presente e del tutto disinteressata del futuro. E’ l’ultimo canto di un uomo che nel vedere nello specchio se stesso non può fare a meno di avvertire, intenso e profondo, quell’anelito per un mondo che sia costruttivo ed equo. giusto e solidale, un mondo che ha ormai smarrito quella strada che invece è propria dell’autore e che ora appare ai suoi occhi permeato dall’indifferenza di figure senza anima, né nerbo, gente che vive alla giornata, incapace di elevarsi oltre la mera e vorace soddisfazione dei beni materiali.
Renzo Montagnoli
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